7.9.13

Gilda

Non l’avrebbe mai detto che sarebbe finita così.
Veramente, veramente mai.
Forse qualche indizio dalle ultime ore, o negli ultimi giorni... Ma al primo incontro se si fosse aspettato una cosa del genere avrebbe certo agito in maniera differente. E anche se avesse intuito il cosa, certamente non avrebbe potuto indovinare il come.
O forse, non aveva nessuna possibilità. E finire sanguinante, appeso per i suoi stessi muscoli ad un muro, mentre il suo cuore veniva estratto sotto i suoi stessi occhi dal proprio petto assieme a vene, organi e sangue era inevitabile.
La macabra perfezione dello sguardo languido e vittorioso della donna scomparve sotto i suoi capelli corvini, mentre le sue fauci si chiudevano a inghiottire il centro del suo essere.
Era terrificante.
Ma ora, a un passo dalla morte, si rese conto che anche se avesse voluto, o avesse saputo, non le avrebbe detto di no. E che tutto il dolore, il male e il sangue dipingevano come colori su una tela polverosa una perfetta e magnifica fine di una vita indegna di una tale macabra magnificenza.
Ed era incerto se rammaricarsi o gioire di tutto quel sangue e quella bellezza.

- Mi piace la tua maschera.
L’approccio era quasi banale. Ma dopotutto, un complimento è un complimento.
E tutto andò in fumo.
Eppure già lo sapeva, già si era chiarito tutto nella mente, da quando l’aveva vista poco prima.
Lo sguardo acuto, il viso allegro e il corpo perfetto lo avevano tentato.
Ma qualcosa lo aveva fermato. Uno strano istinto, qualcosa che non molti esseri umani hanno ancora particolarmente sviluppato, dall’età della pietra.
Per questo era camminato via, evitando lo sguardo di lei e immergendosi tra gli altri avventori del pub, e aveva continuato a girare per la festa senza nessuno scopo o motivazione. Mangiare, ballare, bere, commentare le maschere più elaborate con gli amici, fare qualche complimento alle donne in costume più svestite...
Si chiamava Gilda. Un nome particolare, unica particolarità di un’apparenza del tutto normale, agli occhi di chiunque. Vestiti normali, nessun trucco ostentoso, un bel viso regolare, e un corpo troppo nascosto da un elegante vestito perché chiunque potesse immaginarne esageratamente le fattezze sotto gli abiti.
Ma gli occhi... Gli occhi la dicevano lunga. Più del suo modo di parlare, delle battute e della giovialità. Non avrebbero detto nulla a nessuno se lei non avesse voluto mostrarli. Ma in un attimo fugace, mentre salutava il suo amico che le versava il drink, lo sguardo di lei si riversò negli occhi di lui. Fu un attimo, un breve istante. Ma a cambiare la vita di un uomo, o a condannarla, spesso un istante basta.
E lui doveva aver intuito la gravità della cosa, in qualche angolo della sua ottusa mente da bestia da festa. Quello sguardo significava guai. E da lì decise di evitarla.
Che stronzata. Andarsene in giro per una festa come uno sfigato solo per evitare una donna.
Un drink, due, l’agitazione che cresce, e la decisione di andarsene per risparmiarsi questo strazio. Si sarebbe guardato un film a casa, magari ordinando una pizza...
Ma quando uscì per raggiungere la macchina, lei era dietro la porta.
- Mi piace la tua maschera.
E di fronte allo sguardo di lei, tutte le intenzioni di semplicità andarono semplicemente in fumo.
- Grazie.

E poi, te la ritrovi dappertutto.
Cellulare, Facebook, altre uscite. A volte sotto casa dopo aver chiuso il portone, senza preavviso.
E dove non la vedi vorresti che fosse lì.
E in men che non si dica, ti scopri a invitarla fuori. E a essere invitato.
Il “crack” arrivò alla terza uscita.
Mai da soli, sempre con altri. In quell’illusorio desiderio di evitare ciò che in cuor tuo sai perfettamente che accadrà schermandoti dietro i tuoi amici.
Ma alle decisioni di volontà superiori non ci si ribella così, ragazzo.

Il terzo appuntamento si svolse in un luogo fantastico.
Era troppo freddo perché zanzare e altri insetti fossero un problema, ma non abbastanza da rendere impossibile stare seduti all’esterno vicino alla risacca sotto le lampade termiche sparse qui e là. E nonostante gli altri, i due si ritrovarono a passeggiare nei dintorni del locale sul lago, sulla spiaggia, parlando del più e del meno.
E seduti a chiacchierare, lui si distrasse a guardare nella direzione del locale, attirato dalla scarica delle casse dell’impianto audio che si accendevano per dare inizio alla serata karaoke.
Quando nei giorni successivi ripensò a quel momento, era sempre più sicuro che stesse pensando di cantarle qualcosa, in quel preciso momento. Ma la certezza totale non la ebbe mai, perché se quel pensiero gli balenò in mente, fu solo per un istante. Un istante interrotto dalla voce di lei, sussurrata in un orecchio con femminilità e sensualità impossibili.
- Voglio sentirti cantare.
Crack.

Magia. Pura e semplice magia. Incontro dopo incontro, settimana dopo settimana, lui se ne rese conto. Lei è perfetta. Sempre più perfetta. Intelligente, bellissima, dolce quando vuole, divertente quando vuole, con un sarcasmo acuto e delicato.

- E se ti dicessi che ti amo?
- Non ne sarei sorpresa nemmeno un po’.
Sorride sempre quando parlano. Lui fa un broncio un po’ strano, tra il divertito e lo scocciato.
- Hai un’opinione così alta di te stessa?
- Decisamente. Ma non è solo quello.
- E allora cosa?
- Me lo aspettavo.

E cominciano i regali. Prima un fiore, poi della musica, una collana... Lei è sempre l’apoteosi della gratitudine. Sorride e lo bacia con passione tutte le volte. E questo porta a volerla veder sorridere ancora di più, a cercare i suoi baci appassionati ancora di più, e a voler andare oltre.

- Ti desidero.
- Lo so.
- ...e?
Sempre quel sorriso.

E la sua doppia vita comincia a crollare. La vita con Gilda, vissuta sempre e solo di notte, incontrandosi la sera dopo il lavoro, cercandola uscito dall’ufficio, comincia a intaccare quella di giorno, passata sulle carte e sui progetti. E’ distratto, la cerca e lei non risponde, e quello che prima poteva essere un chiodo fisso diventa un’ossessione. Vuole vederla tutte le sere, e tutti i giorni. Non gli basta mai.

- Non capisco come mai sono così attratto da te...
- Lo credo bene. Ma forse il motivo è talmente palese che ti sfugge.
- Che intendi dire?
- Sarò buona e te lo dirò. Io sono perfetta. Tutto di me ti attrae, e non solo per le mie fattezze, ma perché mi sono allenata tanto, tanto tempo per fare in modo che fosse così. Questo, aggiunto all’aura di mistero che ho elaborato accuratamente, ti spinge a volermi conoscere, a voler sapere chi sono. Sono un bellissimo, perfetto mistero.
- Vuoi dire che fai tutto questo consapevolmente e deliberatamente?
- Ci puoi scommettere. Mi piaci troppo per essere meno di perfetta nell’attrarti a me.
- Mmmh...
- La cosa ti infastidisce?
- No. Sì. ...Beh, forse. Insomma, mi sento preso in giro...
- La parola che stai cercando è “manipolato”.
- Ma perché?
Gli sorride.
- Te l’ho detto. Ti trovo splendido, e ti voglio tutto per me.
- E io allora?
- Non senti di essere apprezzato?
- Non lo so... Non mi rispondi mai quando ti cerco di giorno.
- Non posso.
- Perché?
- Non capiresti.
- ... ti avrò mai Gilda?
Sorride ancora. Quel suo sorriso splendido.
- Se avrai pazienza e sarò brava, sì. Ti darò tutto. E ti prenderò tutto.

Mesi così. Regali, attenzioni... Senza mai chiedere niente.
E senza mai ricevere niente.
Ogni carezza, ogni bacio è una silenziosa preghiera che trova soddisfazione.

Il cuore umano è una cosa strana. E arrivare a odiare per amore è una tra le cose più strane che il cuore umano riesce a realizzare.
Si pensa che amore e odio siano agli antipodi, perfetti opposti.
Potrà anche essere così, ma quando entrambi saturano la propria parte di anima, arrivano così vicino da sfiorarsi e compenetrarsi a vicenda.
Quando la mente realizza terribili seppur piccole vendette, come un saluto non dato, un bacio negato o simili inezie, e poi il cuore impedisce di metterle in atto, l’effetto è che la mente ne crea di sempre peggiori. Così la frustrazione si tramuta in rabbia, che diventa odio, e rancore e follia, che costantemente vengono fatte a pezzi con il solo sguardo di lei.
A nulla valgono messaggi, lettere o registrazioni sulla segreteria telefonica, quando di fronte ai suoi occhi crolli a piangere e a chiedere scusa.
E ogni sua parola o carezza disintegrava ogni rabbia. Quel suo sorriso, quella sua promessa costante di un amore profondo come la notte...
E quando neppure gli specchi rotti dalla rabbia, le lettere di licenziamento, i pestaggi nei locali per scatti d’ira trasformati in risse ti danno la forza necessaria ad affrontarla di petto con orgoglio e giusta rabbia, ecco che la frustrazione, l’insoddisfazione, la furia sfociano in una follia incontrollabile.

E come ogni cosa non controllata, portata all’estremo, la follia non può che finire in tragedia.

- Io... Che.. che... Che cosa ho fatto?
Cade a terra, il ragazzo. In ginocchio, gli occhi sgranati che fissano le mani di un assassino, lorde di sangue, sudore e pioggia.
Le mani tremano. Dietro di esse, a terra, il corpo di chi non si alzerà mai più.
E tutto è sfocato, confuso. La memoria non è altro che un film, proiettato nella mente di chi lo osserva come un estraneo. E alle estremità della consapevolezza, si fa strada la più terribile delle verità.
- L’hai ucciso, amore mio.
Il film continua, continua ad essere girato mentre gli occhi riprendono il presente, e le orecchie registrano delle parole che mai avevano udito prima venir recitate da quella splendida, splendida attrice.
- Gilda...
L’abbraccio rompe l’incantesimo sul torpore del corpo di lui. Ma la mente è ancora una spettatrice in un cinema dell’orrore.
- Ti amo. E staserà ti renderò mio per sempre.
Stop. Macchine spente. Smontare la scena.

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