13.1.12

Paura e corde

Era legato.
La testa gli faceva male. Ci mise un minuto per riprendersi e mettere a fuoco il mondo attorno a lui, che si rese conto consistere solamente in un cerchio di un paio di metri illuminato da tre riflettori che puntavano dritto su di lui.
Le luci erano fredde, cupe, di un'intensità accecante.
Il terreno era brullo.
Si rese conto di essere seduto su una sedia.
Stringeva gli occhi per la troppa luce. Non riusciva a vedere quasi nulla.
E poi la voce. Cupa, racchiante.
- Ben svegliato, Stefano...
La voce veniva dalle sue spalle.
Tremava.
Esilarante.
- Dove sono? Chi diavolo sei tu?
Si agitava sulla sedia, provando a forzare i legacci, inutilmente.
- Chi sono io non importa, Stefano... L'importante è chi sei tu.
Continuava a muoversi. Si voltava, per cercare chi stesse parlando, ma la luce gli impediva di scorgere alcunchè.
- Non preoccuparti, non ho intenzione di farti alcun male... - una risata gracchiante - A meno che non sia utile farlo.
Smise di forzare vistosamente le corde, e cominciò a tremare di più.
Sentì la risata. Un ghigno, che veniva da davanti a lui. Oltre la luce. Invisibile.
- Sei qui per un motivo, Stefano... Un motivo a me molto caro
Quasi singhiozzava.
Il terrore scivolava sul suo volto in perle di sudore, e sconquassava il suo corpo con tremiti irrefrenabili.
- Che cosa vuoi da me?
- Voglio che mi racconti, Stefano... Che mi racconti della tua famiglia.
Si agitò, cercando il suo rapitore, che si era spostato senza fare rumore, e faceva provenire la sua voce rauca da sinistra.
- Della mia famiglia?? Ma che significa? Chi sei tu?
Era confuso. Spaventato.
Beh, prevedibile...
- Non amo ripetermi, Stefano. Ti ho detto che chi sono io non importa. Ciò che conta è che tu sei un Colteri. E che sei nipote di tuo nonno.
La paura si infiltrò nella sua voce, trasformando le sue parole in ansimi incontrollati.
- Mio nonno?! Ma di che stai parlando, COSA VUOI DA ME?
Non avrebbe dovuto urlare. Forse non si sarebbe ritrovato con il gelido tocco dell'acciaio sul collo, e la testa tirata all'indietro da una mano guantata, mentre la voce più lugubre che avesse mai udito gli gracchiava nelle orecchie.
- Non. Ti. Agitare. Mi innervosisci, e ti assicuro che è meglio che nella tua posizione io non mi innervosisca. Non pensi?
Il fiato reso corto dal terrore di percepire il gelo della lama sulla pelle gli impedì di parlare, ma l'accenno della sua testa fu più che sufficiente.
La presa si dissolse, il freddo si allontanò dal suo collo, ma non certamente dal suo cuore, la cui corsa impazzita quasi rimbombava nel silenzio della luce accecante.
La voce era nuovamente di fronte a lui. Troppo veloce. Troppo silenziosa.
- Dunque, Stefano... Tuo nonno, come certamente sai, era nell'esercito durante la guerra. Vero?
Deglutì, e mosse la testa quel tanto che bastava per distinguere un fremito da un'accenno. La confusione si aggiunse alle varie sfumature di paura che lo ghermivano.
- Dopo l'armistizio si diede alla macchia, come molti suoi commilitoni. Confermi?
Annuì di nuovo.
- S-sì... M-ma tu come fai a sapere queste cose? E che ti importa? - la disperazione ruppe la sua voce e lacrime cominciarono a fluire dagli occhi feriti dal bagliore delle lampade e traboccanti di panico.
Di nuovo la risata.
- Questo non è importante... Tuo nonno ti voleva molto bene, vero?
Un silenzio confermatore.
- Tu eri il suo nipote preferito...
Stefano cominciò con agitazione a cercare il suo rapitore, mentre il cuore accelerava la sua corsa.
- Noi... eravamo molto legati. - un altro singhiozzo – ti prego, lasciami andare... Cosa vuoi da me?
- Passavate insieme molti finesettimana...
Il terrore più puro che Stefano ricordasse gli spalancò gli occhi e gli tolse il respiro.
- E tu come fai a saperlo? - la voce tremava talmente che le parole uscirono simili a un rantolo sussurrato.
Il ghiaccio che gli gelava la schiena si inspessì all'udire di nuovo la risata gracchiante dello sconosciuto, che proveniva da vari metri a sinistra. Troppo lontano perché potesse esserci arrivato senza fare rumore, come era successo.
- Ci sono molte foto vostre, nei tuoi album di famiglia...
Il panico più totale assalì l'uomo, che cominciò ad ansimare vigorosamente, e che gli diede la forza per urlare.
- Oh mio dio... SEI STATO A CASA MIA!! Se hai fatto del male alla mia famiglia giuro che...
Il gelo della lama che premeva nuovamente sul suo collo lo interruppero. La testa nuovamente bloccata, con più vigore.
- Non preoccuparti, la tua famiglia sta benissimo. Non si sono nemmeno accorti della mia presenza... - poi la voce era al suo orecchio sinistro – come te.
Si girò di scatto. Nessuno. Il gelo sulla gola era svanito. Le gocce fredde di terrore che macchiavano il suo viso cominciarono a impregnare i vestiti. Gli occhi spalancati non facevano altro che lasciarsi accecare di più. La forza della disperazione urlò per lui.
- CHI SEI TU?
Silenzio.
I singhiozzi di Stefano furono l'unico rumore nel gelido silenzio di luce e terra per qualche secondo. Il sangue dei polsi feriti dalle corde troppo strette si mescolò al sudore e macchiò le mani di Stefano, colando goccia a goccia sul suolo di nuda terra.
Poi da lontano di nuovo il gracchiare assordante del folle rapitore.
- Ho letto le lettere che vi siete scritti...
Solo altri singhiozzi.
- E sono qui perché tu mi racconti.
Scosse la testa. Ormai il volto era colmo di lacrime, mentre l'ultima delle sue resistenze andava in pezzi di fronte alla disperazione.
- Ti racconti cosa? - pianse in un gemito.
- Il giorno della sua defezione. Voglio che mi racconti cosa successe in quel casolare...
Era scritto nei suoi occhi. Avrebbe raccontato tutto. Tutto ciò che non era stato scritto nelle lettere. Tutto ciò che non aveva mai raccontato a nessun altro. Tutto ciò che era rimasto nascosto così a lungo...

Mi avrebbe detto tutto ciò che volevo sapere.

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